28 novembre 2006

Napoli: i luoghi del pittoresco

Chi non conosce la cartolina di Napoli?
Il pino colla sua chioma verdissima, dietro poi Mergellina e la baia, poi ancora il Castel dell'Ovo e sullo sfondo il Vesuvio. Talvolta in qualche variante più retrò, o semplicemente d'epoca, c'è pure il pennacchio di fumo che oramai da tempo è assente. Una credenza vesuviana (di cui anche io sono irrazionalmente persuaso) lega l'assenza del pennacchio alla decadenza di Napoli.
L'immagine di cui sopra è decisamente abusata; e ne sia prova questo piccolo aneddoto.
Come regalo di nozze a due sposini che presto andranno a vivere lontano da Napoli, per permettere loro di resistere alla nostalgia, è stato dato un piccolo dipinto con uno panorama della città. Ma la scelta del soggetto non è caduta sulla classica veduta del golfo da Posillipo (è là che era il famoso pino), bensì s'è scelto Piazza del plebiscito. La piazza ha significato una Napoli ritrovata, padrona e consapevole del suo spazio (e non solo urbano). Ma a ben rifletterci, anche la bella piazza è oramai l'inflazionata immagine bella di una città che fatica a dare una bella immagine di sè, ai suoi abitanti come a coloro che sono altrove.
Possibile che non ci siano altri luoghi che possono dirsi caratteristici di Napoli e che tutti (quantomeno in Italia) possono immediatamente intendere?
Eppure ai tempi del grand tour Napoli era una miniera di luoghi del pittoresco. La pittura napoletana di genere era piena di popolani coloratissimi, mercati assolati, paesaggi selvaggi, feste di piazza e celebrazioni religiose con folle oceaniche.
E quella bellezza di luoghi e gente è sopravvissuta fino al novecento: ho visto infatti di recente (credo su FMR) dei dipinti di Morelli (era in occasione di una mostra antologica che però ho mancato): nei suoi dipinti scene solari con quella luce viva tutta mediterranea.
Ma più che chiederci che fine abbiano fatto i luoghi del pittoresco del passato, bisognerebbe ci chiedessimo dove sono i luoghi del pittoresco a Napoli oggi: dove si potrebbe scattare una nuova cartolina di Napoli da inviare dall'altra parte del mondo?
Penso ai bellissimi paesaggi solitari di Mariniello. I suoi bianco e nero sono netti, e l'aria sembra sempre tersa, come se spirasse una continua tramontana. Ma in quegli scatti Napoli (spesso una Napoli suburbana) sembra aver perduto ogni gioia, ogni buonumore: c'è la lenta consunzione delle cose abbandonate alla solitudine ed all'umidità del crepuscolo. Non c'è anima viva ad abitare quelle immagini. Sono le cronache di un dopobomba? Certo che no. Sono più probabilmente il frutto di una reazione nei confronti dello stereotipo abusato di una Napoli città solare e chiassosa tutta vicoli e lenzuola. In quelle foto Napoli diventa crepuscolare e silente.
Una scelta antiretorica dunque, quindi una scelta anti pittoresca: e quindi una scelta coraggiosa.
Ma dove manca il pittoresco purtroppo non ci possono essere cartoline. E cosa invieremo allora ai nostri cari lontani? Dove potremmo trovare allora nuovi scorci pittoreschi nella città?
Poi un pensiero: e se stessero diventando tipici e quindi stereotipati e quindi pittoreschi i cumuli di spazzatura lungo le strade?? Saluti da Napoli?

25 novembre 2006

La natura morta transgenica

Un tavolo sotto un patio che dà su un cortile, o su un prato.
Un immenso tavolo, carico d'ogni bene: come nelle nature morte napoletane di cui si beano tanti salotti bene.
Ma tutto è alterato in quelle primizie: per proprietà, forma, dimensione così come per colore. Nulla sembra essere scampato alla ibridazione, alla mutazione. Tutto è perfetto ora, l'occhio pare appagato. Tutto non reca traccia di corruzione.
Sullo sfondo una scena idilliaca. Nel prato è un girotondo quasi meccanico di gente tutta uguale.
Sul bordo del tavolo, un dialogo silente d'un vermetto e d'una lumaca.

12 novembre 2006

Astolfo sulla luna

Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l'aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.

Orlando furioso XXXIV 69.

Ovviamente ho fatto un copia e incolla da una edizione online: ho una memoria di cacca io. Ed invidio tutti quelli che sgranano poesie a memoria.
Ma andiamo avanti.
Uno sfondo nero. Due cavalli bianchi in primo piano, d'una luce bianca che sembra farli brillare. Altri due s'intravedono accanto. Hanno membra piene. Un occhio vivo e buono verso chi guarda. La criniera scomposta e folta.
Sono attaccati ad un carro dorato, da trionfo.
Appena dietro è il pilota: un vecchio minutissimo e canuto: dall'aria serena. Ha il manto gonfio dal vento, il viso teso. Il soldato d'altri tempi che gli sta accanto ha ricchi abiti e luccicanti, il suo mantello fa uno sbuffo pomposo. In alto una Luna grande e marmorea prende quasi metà della scena, rivolgendo allo spettatore la sua faccia nascosta*: quella preclusa al mondo.
Il cavaliere è Astolfo. Va con Elia a riprendere il senno d'Orlando, finito sulla Luna, insieme a tutti i refusi del mondo.
Ma chi ci dice poi che la scena non è finzione d'una finzione? Che quella Luna non sia di cartone o plastica, appesa davanti ad un drappo sdrucito da teatranti? Che quello è solo un cavallo da tiro e che quell'Astolfo è solo un guitto travestito da paladino? In fondo le zampe dei cavalli non si vedono. E il carro è appena visibile: una sagoma.
Insomma che davanti allo spettatore sia l'immagine d'una recita: finzione d'una finzione, teatro?

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* Per correttezza debbo però dire come nel poema non si fa riferimento all'altra faccia della luna, ma io ce la metto, perchè mi sembra ancora più suggestivo.

10 novembre 2006

Close.. to me


Ah! Se fossi ricco correrei subito a comprare una sua tela.. anzi: a farmi fare il ritratto!
Nonostante una grave paralisi, Chuck Close dipinge ancora meravigliosi ritratti.
Partendo dall'iperrealismo più ferreo è giunto ad una tecnica che lo avvicina all'arte musiva romana (o se volete al nostro pixel).