10 luglio 2010

L'uso degli strumenti ottici nella pittura rinascimentale













Ho ritrovato tra gli scaffali, il libro di David Hockney Secret Knowledge che qualche anno fa mi aveva colpito (quando un blog rimanda a suoi post precedenti, è senz'altro segno di vecchiaia!).
Rileggendolo ho trovato nuovi spunti, e (ancora negli occhi tutto il barocco visto in questa prima metà di 2010) e anche qualche piccola perplessità (tra tutte: una malcelata predilezione di Hockney per una origine "nordica" della pittura con l'uso dello specchio non riesco proprio a capirla).
Ricercando sul web ho trovato sia questa interessante conferenza che una pagina interamente dedicata al lavoro sull'ottica nella pittura rinascimentale svolto dal Prof. Falco insieme ad Hockney (sostanzialmente, un ottimo supporto per chi legge il libro).
Personalmente, trovo le conclusioni alle quali arrivano entrambi più che accettabili, e ovviamente stimolanti: eccetto forse il fatto che - più che conoscenza segreta - direi che l'uso di lenti e di specchi nella pittura sia stata piuttosto una conoscenza "perduta", soppiantata contestualmente dall'uso della fotografia (da un lato) e della riproduzione "meccanica" delle opere d'arte (dall'altro), e non "segreta".
L'avvento dell'elaborazione digitale e della manipolazione dell'immagine svolta "di concerto", in studi fotografici o cinematografici come attraverso le community sul web dove ci si scambia suggerimenti e valutazioni, rende tutto quello che viene detto in questa conferenza (e nel libro, ovviamente) di potente attualità.
Viviamo in fondo in un periodo dove - nell'arte - l'immagine viene accettata solo se elaborata, rielaborata o manipolata: per sembrare - di nuovo e nuovamente - più vera del vero.

11 aprile 2010

Il gusto della decorazione



Per perdere tempo mi ritrovo a sfogliare un articolo, e capisco così che in fondo l'enorme parte dell'arte degli ultimi cinquanta anni è solo decorativa.
Dietro molti "oggetti", mostre e cataloghi d'arte c'è solo il gusto della decorazione.
Mi spiego meglio.
L'arte degli ultimi cinquanta anni serve a decorare, non gli ambienti o gli spazi, ma i discorsi. L'opera diventa funzionale al discorso. Anzi: in esso si confonde, fino ad essere incomprensibile da sola, non comunicativa.
Se spesso mi sembra che l'artista sia esplicabile solo dal critico, è perché credo che svolga la propria opera in funzione di quest'ultimo: è il critico che "usa" le opere, le monta nel suo discorso, le piega ad una funzione decorativa. Ne parla per dire altro: sostanzialmente per parlare di sé.
E in molti oramai si accontentano di questa situazione nella quale si parla di opere d'arte, discutendo e pontificando, usandole per la costruzione di un discorso.
Il riferimento alle opere diventa così del tutto secondario, talvolta quasi un fastidio, per il critico che non ha altro interesse che dire ciò che in animo di dire.
Ecco perché leggendo alcuni cataloghi si resta stupefatti dalla totale mancanza di relazione tra opera e critica.
L'opera oramai è funzionale al critico, serve solo ad imbellettare i discorsi, per "farsi bello", per "piazzare" un discorso forbito. E poco male se poi quello di cui si parla non lo percepisce quasi nessuno, nè dentro, né attorno né lontano dall'opera. Basta che se ne parli, qualcuno si farà convincere.

09 febbraio 2009

Alcune note sull'allattamento: Pero e la Pietas romana


Quante volte ci sarà capitato di sentire per bocca di qualche conoscente la storia dell'anziano signore che, in barba alla vecchiaia, ringalluzzito dalle rotondità di una amante non proprio disinteressata (magari di fabbricazione sovietica - ergo robustissima), riscopre i piaceri della carne?
In realtà il vecchio e la fanciulla è un vero e proprio topos artistico, che merita una analisi migliore della mia.. non fosse altro che per dare qualche colto argomento a beneficio dei latin lovers redivivi (è proprio l'aggettivo giusto!), quando si troveranno di fronte agli agguerriti benpensanti.. il punto è che qui non scrivo che io, dunque accontentatevi!
Dunque. Partiamo da una immagine a me cara: le sette opere di misericordia di Michelangelo Merisi da Caravaggio, esposte nella chiesa del Pio Monte della Misericordia, a Napoli.
A destra del dipinto si vede una scena che, a prima vista, mal si concilia con uno spazio sacro: una giovane si sta facendo succhiare una mammella da un vecchio il cui capo spunta dalle spesse grate di una finestra che dà alla strada. Una scena di meretricio.. in chiesa?! Lo straniamento dura poco.
Quello che si sta consumando appare subito come tutt'altro che un idillio erotico, anche perché l'intero quadro presenta una scena buia e tormentata di malattia, miseria e morte - sovrastata da una bellissima e turbinosa Madonna, attorniata da angeli.
Quella che ci appariva come una scena piccante si dimostra così una scena di carità cristiana: la giovane allatta il vecchio che è rinchiuso in una prigione, forse condannato a morire di stenti o forse malato, comunque sicuramente provato dalla sua condizione. Lo tiene in vita nutrendolo: che sia l'anziano padre? O un amore "contro" da tenere clandestino? O forse quel vecchio é per la ragazza solo uno sconosciuto? Non importa.
Quello é un gesto di misericordia che allunga la vita di quel disperato. Forse allungandone solo le sofferenze. Quel vecchio forse morirà comunque di stenti, o in altro modo. A che serve allungare una vita tanto disperata?
Eppure una patina di erotismo resta negli occhi del visitatore: la mammella bianca e tonda della giovane spaurita, contro il volto contrito e scuro - da satiro - del vecchio. Ma lo sguardo vaga già altrove, distratto.
L'immagine dell'allattamento di un vecchio da parte di una fanciulla è una immagine ben presente nella raffigurazione classica.
La ragazza che allatta il vegliardo era infatti già ben presente nella mitologia greca, nella storia di Pero (che talvolta è anche chiamata Santippe) e Micone (una chiara e dotta descrizione della storia la trovate qui in questo libro che parla però di Giulio Cesare).
Una giovane, Pero, allatta il suo anziano Padre, Micone, prigioniero e destinato a morire di stenti. Orami debolissimo, il solo latte della figlia lo tiene in vita, flebilmente. La ragazza tiene per amore ancora in vita suo padre, clandestinamente. Prolunga tuttavia solo l'agonia dell'uomo, anche se ne rende più dolce l'attesa.
Il latte dunque, e il seno, immagine del dare la vita, del tenere in vita: la nutrizione come atto non solo materiale, ma anche spirituale. Di amore, materno ma anche filiale.
Ma non solo nella grecia antica l'allattamento ha valore simbolico.
Anzi, il gesto dell'allattare si muove nel tempo e giunge fino a noi in un altra forte immagine dell'antichità: quello delle matres matutae.
L'immagine dell'allattamento è ben presente infatti nella meno estrema e più petrosa simbologia italica: nella immagine poderosa e vitale di queste donne assise e fissate il più delle volte nella terracotta, nell'atto di allattare.
Così la ragazza che allatta al seno un vecchio in Grecia diviene in Italia una matrona che dispensa il vivico latte dai suoi seni a numerosi pargoli fasciati. Sono tanti, tutti affamatissimi: e a loro tutti la mater dispensa il proprio latte.
Simbolo di infinita abbondanza e ricchezza, il latte, stavolta correllato alla fertilità, alla maternità: siamo lontani dal paradosso del mito greco di Pero.
Interpolando la ragazza del mito greco e la immagine arcaica della mater matuta, che si giunge alla immagine classica della pietas romana.
Una donna, giovane e forte, allatta due bambini (entrambi i suoi?) con accanto i segni della fertilità della terra (spighe di grano e cornucopie).
Ovvio che sia la riproposizione della stessa immagine che é "alla radice" del mito di Roma, la lupa che allatta i gemelli.
Così nella pietas romana l'allattamento, il sostegno e l'infusione della vita, diventano il simbolo stesso di Roma: dispensatrice di forza e ricchezza. Come i gemelli trassero la loro forza dalle mammelle della pietosa Lupa, allo stesso modo la matrona/Roma dispensa il suo latte ai bambini/Popoli rafforzandoli.
Ma sforziamoci di giungere fino ai nostri giorni.
Così un gesto tra i più belli e naturali, può diventare un gesto che rivela tutta la tragicità di alcune scelte della nostra vita (come é ben spegato qui, in questo articolo che pure parte da un dipinto) e che ci riporta alla mente un caso che in questi mesi ha commosso chiunque.
Amore, nutrizione e vita: passano i millenni e ancora ci misuriamo con i temi del mito di Pero, con l'immagine delle matres arcaiche.
Ancora oggi infatti alla nostra sensibilità, di sicuro ben diversa da quella antica, si ripropone l'antico tema: nutrire per dare la vita e per tenere in vita, anche quando si tratta di una vita disperata? Anche quando nulla lascia immaginare altro che l'agonia prolungata di una vita in cattività? Dove si spinge l'amore?
Non mi sento di esprimere giudizi: e non solo "la leggerezza" di questo blog non me lo concede.
Tuttavia tengo a concludere così: l'allattamento e il nutrire anche se "interpolati" nelle storie e nelle immagini arcaiche - costituiscono anche un manifesto politico, di protezione e tutela, di crescita e di sviluppo.
Così quando vedrete un dipinto mezzo scrostato, come mi capitava di vederlo da ragazzino negli antiquari che costeggiavo andando a scuola, di un vecchio allattato da una giovane, non pensate solo agli ottuagenari amanti latini che popolano i nostri parchi pubblici.
Quella é sopratutto una delle "immagini chiave" della nostra società. Ovunque la nostra società stia andando.