18 aprile 2007

Partenope


Se fossi colto, molto probabilmente non mi imbarcherei in un tema che presuppone una lettura meditata delle fonti e una frequentazione assidua dei nostri illustri predecessori, dei loro miti. Sarebbe troppo a rischio sputtanamento: eterna ignominia per averla sparata grossa, magari confondendo o facendo un errore macroscopico. Ma siccome non temo smentite nel dichiararmi profondamente ignorante, mi butto.
La storia per come moltissimi la conoscono è questa: Partenope principessa delle sirene e ultima della sua stirpe, arriva sul lembo di spiaggia che guarda l'isola di Megaride ed è sormontata dal monte Echia. Ha le ali spezzate e non sopravvive al dolore: muore su quel lido. Dei pescatori che abitano là, ritrovato il corpo della sirena, e datogli degna sepoltura, fondano attorno al suo sepolcro una nuova città, chiamandola col suo nome: Parthenope, appunto, che significa vergine, verginale. La città poi avrà nome di Palepoli, la città vecchia: esiste ancora oggi, è Santa Lucia.
Se però pensiamo a ciò che rappresenta la sirena nella antichità più antica, la storia si mette in nuova luce. La sirena infatti rappresenta, nei miti, l'ignoto ed il pericolo; o, meglio, il pericolo che il mare ha in serbo per coloro i quali non conoscono le rotte e che finiscono presto o tardi per rischiare naufragio su qualche roccia affiorante o di schiantarsi sulla costa petrosa, come presi da una forza irresistibile (il canto delle sirene appunto).
Se si intende la sirena in questo modo, la storia di Partenope assume quasi i contorni di una cronaca. Ecco allora che la morte dell'ultima delle sirene coinciderebbe con la apertura di una rotta: dove prima era l'ignoto ed il pericolo, ora c'è una rotta conosciuta e sicura, che porta ad un approdo al riparo dalle furie del mare. E la fondazione della città coincide coll'apertura di un porto, le genti che abitano quelle terre, da pescatori che erano, diventano mercanti e marinai (passando da selvaggi ad urbani). In questo senso, ciò che si ferma sulla costa è una nave, più che una sirena. Ed allora Partenope potrebbe essere sì una principessa, ma della stirpe degli uomini; magari è fuggita dalla sua terra natìa insieme ad un piccolo gruppo di suoi fedelissimi, magari c'è con lei il suo amato, tutti decisi ad iniziare in quel nuovo mondo una nuova e migliore vita. Questa versione è, ad esempio, quella che fa propria Matilde Serao nelle sue Leggende napoletane (mettendola in dolcissima prosa), parlando della fondazione della città dell'Amore.
Ora, ed ecco al punto dove sarebbero sorti i miei timori (sempre se fossi stato colto o col desiderio d'apparire tale): ma è proprio corretto, se questo è il significato da dare al mito, collocare la fondazione di Napoli intorno al VI secolo a.C.? Possibile così "tarda" è la "scoperta" da parte dei greci di rotte sicure nel Tirreno? E allora prima come si faceva, si andava lungo la costa?
Già... se fossi colto citerei, approfondirei e tutto... e invece niente!
Penso però che questo, aldilà della collocazione storica della sua fondazione, è un mito fondativo dolcissimo: e se lo confronto con altri cruentissimi (omicidi, fratricidii, guerre...) o debordanti dell'intervento divino (mistiche visioni, segni del cielo), capisco perchè è considerata la città dell'Amore, ne capisco il suo valore humano... E questo lo capiscono tutti, anche gli incolti (scrocconi) come me!

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